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Bonomi Carlo (piazza)

Bonomi Carlo (piazza)


L’8 febbraio 2007 la Giunta Municipale ha denominato - Piazza Carlo Bonomi - l’area antistante l’ex palazzo municipale di via Roma, 1 (oggi Palazzo delle Associazioni e sede dell’Archivio Storico civico), già nota con lo stesso nome, ma resa ufficiale dalla delibera in questione. La piazza è antistante alll’ex palazzo municipale che presenta un’ampia scalinata di accesso al primo piano con due ali parallele, ma asimmetriche, dove sono collocati i bronzi di Carlo Bonomi La Contadina (esposta alla mostra della Permanente di Milano nel 1928) e la Mater intemerata (Medaglia d’Oro del Comune di Novara alla I Mostra di Arte Sacra di Trieste nel 1961)

CARLO BONOMI nacque, nell’attuale via XXV aprile, 10 (una lapide è stata murata nel maggio 2011 nell’androne del cortile), il 27 dicembre 1880, da Biagio e Angela Bottini. Il padre Biagio conduceva un’osteria in paese, l’ Osteria del Bias con la quale sosteneva dignitosamente la famiglia composta da cinque figli. Frutto di un parto gemellare, Carlo trascorse infanzia e adolescenza a Turbigo, nelle attività artigianali più disparate. Furono i nobili De Cristoforis ad avviarlo a frequentare l’Accademia di Brera a Milano (dal 1898 al 1904) dove ottenne diplomi e benemerenze in varie discipline.

IL NOVECENTO ITALIANO - Durante il periodo milanese, aprì uno studio con gli amici Carrà, Castiglioni e Barilli (una lapide in un bar di Brera - segnalataci da una turbighese – indica il luogo dove si ritrovavano) poi proseguì la sua formazione con una breve parentesi romana. Tempo fa, chi scrive, seppe dal Lisa (un turbighese doc) i motivi che allontanarono Carlo Bonomi dal gruppo di artisti milanesi che avevano promosso, con l’ispirazione di Margherita Sarfatti, una corrente artistica passata sotto il nome di ‘Il Novecento Italiano’. Lisa ci disse che Bonomi era stato chiamato, con Carrà a Manzù (amici cari con i quali pasteggiava spesso e che, in seguito, venivano a trovarlo a Turbigo), a partecipare ad una Commissione che doveva decidere l'assegnazione di un premio. Si trovò in disaccordo con la scelta, trovando così anche il motivo per abbandonare quel mondo milanese del quale si era stufato.

Dopo le ‘vacanze romane’, Carlo Bonomi fece un lungo soggiorno a Monaco frequentandone l’Accademia, dove conobbe le opere dei maestri Lembach e Franz Stück che integrarono la sua preparazione artistica. Un avvicinamento al simbolismo lombardo, d’ispirazione segantiniana, c’era già stato prima della guerra da parte dell’artista turbighese. La visione paesaggistica dei suoi primi dipinti, animata dai temi del lavoro agro-pastorale, si caricano spesso di contenuti simbolici. Il pittore racconta con partecipazione vera la vita dei contadini, conferendo grande dignità alla fatica del loro quotidiano lavoro. Sono di questo periodo La pastorella nell’ovile (1914), Sinfonia pastorale (1915), Paesaggio dell’Engadina, venduto dal Bonomi per duemila lire e rivenduto a New York per ben 170mila delle vecchie lire.

LA GRANDE GUERRA – Arruolatosi come volontario, fece l’osservatore nelle prime linee del fronte in Cadore e sul Monte Grappa. Sono di quel tempo gli schizzi panoramici delle montagne trentine rilevati negli avamposti, ma soprattutto i disegni che riportò dal fronte sull’immane tragedia del conflitto, gli studi per i profughi della ritirata di Caporetto. Un’esperienza, quella della guerra, che segnò profondamente l’anima dell’artista che portò con sé il dolore visto sulla pelle dei poveri contadini mandati a morire. E fu una sorta di ribellione contro la ‘bestialità della guerra’ quella che gli diede la forza di vincere la sua pertinace timidezza, esponendo per la prima volta alla mostra degli ex Combattenti di Monza, I Prigionieri, una tela di grandi dimensioni del Campo di Mauthausen, dove manifestava tutto il suo orrore per la guerra.

LA MATER - Se la pittura è stata, prima del conflitto mondiale, la sua espressione principale, di ritorno dal Fronte – anche a seguito di un’intossicazione di colori – si dedicò con entusiasmo alla scultura e, in particolare, alla Mater che è legata strettamente alla sua fama. Ebbe una sua prima modellazione nel 1915, per poi partecipare – con una seconda versione – alla prima mostra del Novecento Italiano alla Permanente di Milano del 1926, voluta da Margherita Sarfatti (vedere la recente biografia della Sarfatti in cui racconta che cosa fu tale corrente artistica). Fu in tale occasione che l’opera di Carlo Bonomi fu indicata come la più bella dell’esposizione e acquistata dal Governo tedesco, dopo l’esposizione di Dresda. Lo stesso Benito Mussolini, durante la visita della mostra milanese, abbracciò il turbighese, dicendogli che era uno dei più grandi artisti del suo popolo. Durante l’abbraccio Bonomi gli disse: “Ma io sono socialista!” e Benito rispose: “Anch’io lo sono stato”. Il Duce mostrò questo particolare interesse anche perché la scultura si inseriva perfettamente nell’ideologia della ‘donna fascista’, la ‘donna madre’, alla quale faceva appello nei momenti di difficoltà perché potessero fornire il proprio aiuto alla patria.

LA SELVAGGIA - Gli anni Venti sono molto intensi: insieme all’attività artistica e espositiva Carlo Bonomi si cimenta anche nell’architettura e avvia i lavori per ‘La Selvaggia’ (il nome fu scelto dall’artista il quale si ispirò alla frase leonardesca, ‘Selvatico è chi si salva…’. Difatti, tornato al paese natio, si legò con Giulia Motta, musa ispiratrice delle sue opere. Fu lei a sostenere con amore e dedizione il Nostro, acquistando il terreno sul quale sarebbe sorta ‘La Selvaggia’, progettata e costruita dal Nostro, ‘a sua immagine e somiglianza', con l'aiuto di un solo muratore di Castano mentre lui faceva il manovale e l'architetto. Di famiglia benestante, Giulia Motta (della medesima famiglia era il fattore della famiglia Antongini, proprietaria del castello) era sorella dell’arciprete di Cuggiono, che aveva studiato nel seminario di Venegono con Papa Ratti che gli fece, in seguito, visita nella sua parrocchia.

In quegli anni Carlo Bonomi restaura il castello di Turbigo, ma partecipa anche a quello del ‘Broletto’ di Novara. Poiché non volle nulla per la sua prestazione, il professor Viglio, uomo dotto ed eminente nel campo politico e culturale novarese, propose al podestà del Comune di Novara di acquistare una copia de La Madre già a Berlino.

LA PIAZZA SAN FRANCESCO - Quasi un secolo fa, il 20 settembre 1934 si tenne un’adunanza di industriali turbighesi durante la quale Guido Rivolta, segretario politico del Fascio, espose l’intento di onorare la figura e l’opera di Carlo Bonomi con la realizzazione di una piazza da dedicare a S. Francesco d’Assisi. Il terreno fu offerto dal Cotonificio Valle Ticino, allora guidato dal senatore Giovanni Treccani degli Alfieri. Solo un terzo della spesa (32mila lire) fu a carico del Comune, mentre il rimanente fu offerto dai turbighesi. La nuova piazza fu inaugurata il 4 novembre 1934, un gioiello compositivo, scevro di qualsiasi orpello, di una grande bellezza. Si tratta di un impianto urbano a pianta centrale, con fontana e scultura del Patrono d’Italia, che ebbe il premio Medardo Rosso (1934) e alla quale i turbighesi sono molto devoti al punto che, ancora oggi, il 4 ottobre di ogni anno, lo inondano di fiori.

IL BUSTO DEL DUCE - Nel 1936 fu incaricato di realizzare un busto in bronzo del Duce da murarsi nella 'Casa del Fascio' turbighese (attuale asilo nido Villa Tatti). All'inaugurazione, quando venne scoperto, la gente non lo riconobbe e alle osservazioni il Carlin rispose di aver ritratto la persona (il Duce) che aveva conosciuto nelle trincee della Grande Guerra, lasciando chiaramente intendere che non era più lo stesso. Da questo fatto è nata la famosa frase che ha lasciato scritto all'ingresso della sua abitazione: La Selvaggia – intenda chi può' altezza l.m. 25.000 metri, frase che rappresenta una sorta di risposta alle critiche al busto mussoliniano non somigliante al Duce, denunciando così il fatto di non essere stato compreso nella sua opera (del ‘faccione’ non esiste nemmeno una foto. Si sa solamente che – una volta divelto dalla Casa del Fascio - fu caricato su una carriola e portato via da due turbighesi di cui uno di chiamava Garavaglia…Pensiamo che la scultura sia ancora tra di noi).



Dopo i riconoscimenti del Ventennio, le proposte di lavoro e le commissioni di opere di scultura si susseguirono incessanti. Le realizzazioni più importanti sono di carattere funerario (Il Trasporto del Cristo, L’Ultimo saluto). L’opera più nota è forse il Cristo in Croce per il Santuario di Re, paesino della Val Vigezzo, inaugurata nel 1956 e alla quale fece seguito un’intervista con Radio Vaticana e numerosissime recensioni.

IL MONUMENTO AI CADUTI – Progettato da Carlo Bonomi - ebbe l’idea di nascondere la vasca dell’acquedotto all’interno di una torre medievale - il monumento ai Caduti fu inaugurato il 7 giugno 1964 con una grandiosa cerimonia patriottica. Purtroppo, il sacrario, qualche anno fa, è stato depredato delle lastre di rame riportanti i nomi ei Caduti e nonostante il tempo passato non è stato ancora ripristinato dal Comune.

L’ultimo decennio della sua vita Carlo Bonomi lo trascorre in grande serenità, circondato dall’affetto dell’inseparabile Giulia e degli amici. Fu anche consigliere comunale in paese al tempo del sindaco Luigi Bianchini (nella foto con Bonomi al centro, i medici condotti del tempo, Ajmone e Borghi).

LA MORTE - Da tempo si occupava, in modo privilegiato, di uno dei nipotini di Giulia, Angelo Vittorio Mira, che in seguito avrebbe deciso di adottare, curandone gli studi, la professione di architetto e nominandolo erede del proprio patrimonio materiale e spirituale. In occasione degli ottant’anni venne organizzata una grande mostra retrospettiva a Novara. La sera dell’inaugurazione non stava bene e non si presentò alla conferenza introduttiva. Morì la sera del 18 novembre 1961, dopo aver preparato con cura la sua dipartita. Quando stava morendo, la Giulia il Carlin voleva sposarla e, alla presenza di don Riboni, lei disse: “Vai a cà a fa un bel sogn, sem a stai ben insema”. Volle che gli fosse posta sul petto una croce di ferro battuto e tra le mani una corona a dodici poste di antica tradizione famigliare e una fotografia di Giulia nella tasca del panciotto.

NB. Il Piano regolatore ha sottoposto a tutela, per il loro valore artistico, le opere architettoniche e scultoree di Carlo Bonomi, opportunamente individuate nello strumento urbanistico.

FOTO Il Maestro con il discepolo Angelo (1943) accanto al bronzo ‘La Madre’, opera concepita nel 1915, ma alla quale l’artista lavorò fino al 1925, correggendola ancora nel 1948